Pensare di bastare a se stessi, orgoglio e l'arte dell'umiltà

Pubblicato il 26.06.2025 da manu

Specialmente per noi maschi, il desiderio e la spinta a fare tutto da soli per dimostrare le nostre capacità a noi stessi e agli altri è sempre presente. Magari coperto sotto mentite spoglie, ma fa capolino ogni volta che se ne presenta l’occasione. Negli ultimi decenni, questa tendenza è stata anche alimentata dai miti (tipicamente americani) del self-made man, ovvero dell’uomo che si è costruito da solo e che si accolla tutti i meriti del suo successo. Ci sono anche molti eroi della cinematografia che lavorano sempre da lupi solitari (ad esempio James Bond) che alimentano questa visione eroica del singolo che lavora da solo.

La trappola dell’orgoglio

Pensare di bastare a se stessi, credendosi già sapienti e capaci. Non avere nulla da ricevere dagli altri, perché abbiamo tutta la verità in tasca. Godere della prevaricazione sugli altri. Questi sono tutti sintomi della peggior malattia che ci possa colpire: l’orgoglio.

Indubbiamente siamo facilmente provocati quando veniamo toccati sull’orgoglio. Penso che nella maggior parte dei casi sia proprio la superbia (e di conseguenza l’orgoglio e l’invidia) la radice di tutti i mali, per noi stessi e per gli altri. Se siamo pieni di noi stessi, come possiamo lasciar entrare qualcosa di arricchente da fuori?

Troppe volte facciamo fatica a trovare l’umiltà per accogliere l’altro. Ci riempiamo delle nostre conoscenze, esperienze, filosofie e teologie a tal punto da renderci impenetrabili. Talvolta diventa pure un vanto il fatto di non farsi scalfire da nulla, forti del nostro orgoglio! Che hanno da insegnarmi gli altri?

La natura comparativa dell’orgoglio

Per capire quanto sia subdolo l’orgoglio, basta pensare alle situazioni in cui emerge: solitamente non si è orgogliosi di qualcosa che si è fatto in sé e per sé, quanto piuttosto se possiamo mostrarci superiori agli altri, soprattutto chi ci è vicino e rispetto al quale possiamo misurarci.

Nel libro Luxury Fever, l’economista Robert H. Frank illustra questo meccanismo attraverso un esperimento mentale illuminante. Frank dimostra che “il reddito relativo è un predittore molto migliore del benessere rispetto al reddito assoluto”. Nel suo studio, chiese ai partecipanti se preferissero avere uno stipendio di 50.000 dollari dove le persone intorno a loro hanno un reddito di 30.000, oppure averne uno di 100.000 dove le persone intorno a loro ne hanno uno di 200.000. La maggior parte dei partecipanti preferì la prima condizione, dimostrando che ciò che conta davvero per la nostra soddisfazione non è quanto abbiamo in assoluto, ma quanto abbiamo rispetto agli altri.

Questo esperimento rivela una verità scomoda: spesso la superbia ci muove proprio in questa direzione. Ci spinge più a essere superiori a coloro con i quali ci confrontiamo, piuttosto che stare tutti meglio ma con i nostri vicini che stanno meglio di noi. È la logica del “mal comune mezzo gaudio”, del se io sto meno male di te.

E così, per questa dinamica tossica, ci facciamo ingannare dalla nostra superbia. Invece di riportarci a misurarci con noi stessi e con i nostri mostri interiori, ci sazia con le briciole della soddisfazione di essere meglio di chi ci sta accanto (o ci fa imprecare perché gli altri sono più belli/ricchi/bravi/capaci di noi). Tutti sintomi del fatto che siamo talmente gonfi di noi stessi che non riusciamo nemmeno a fare passi nel nostro cammino. D’altronde, siamo già arrivati… no?

L’orgoglio come ostacolo universale

Questo dell’orgoglio è un limite che sento davvero forte nella mia vita, e che mi sento di condividere perché nella mia esperienza e in quella intravista dal confronto con gli altri, trovo che sia la radice di tantissime conseguenze per tutti gli altri aspetti della nostra vita. Direi che è l’ostacolo numero uno nel cammino personale di ciascuno. Se l’assunzione di responsabilità è il primo motore per intraprendere questo viaggio, l’orgoglio è il primo ostacolo.

Ciò che rende l’orgoglio particolarmente insidioso è la sua natura relativa e locale. Non importa quanto tu abbia progredito su questa strada, l’orgoglio ha sempre una misura relativa rispetto al punto in cui ti trovi. È un atteggiamento che si adatta al nostro contesto, è uno sguardo sul mondo intorno a noi che ci confronta sempre con chi abbiamo vicino.

Il ragazzo arrogante avrà questo sguardo orgoglioso rispetto al suo capo, ma analogamente, anche il monaco che vive di privazioni e rinunce potrebbe avere uno sguardo di orgoglio rispetto al fratello che ha accanto. È chiaro che il monaco (in generale) sarà una persona molto più umile del ragazzo, ma questo non lo salva dallo sperimentare lo stesso meccanismo di orgoglio nelle situazioni che vive quotidianamente.

Siamo tutti suscettibili a questa dinamica, indipendentemente dal nostro livello di crescita spirituale o personale. Insomma, non possiamo mai considerarci arrivati e stiamo (veramente) tutti nella stessa barca.

L’arte dell’umiltà

L’antitesi dell’orgoglio è la virtù dell’umiltà. Ma attenzione: umiltà non significa svalutarsi o minimizzare le proprie capacità. Significa riconoscere il proprio valore e, contemporaneamente, aprirsi a ricevere qualcosa dagli altri. Spesso questa ricchezza arriva proprio da dove non te lo aspetti.

Questo atteggiamento prevede anche un lavoro concreto: limare la propria arroganza e accogliere tutte le occasioni che la vita ci presenta per riconoscere i nostri limiti e farci scendere da quel piedistallo che ci eravamo costruiti. In altre parole, significa concedersi di accogliere qualcosa (una conoscenza, un pensiero, una competenza) da qualcun altro. Questo processo ci porta a imparare che abbiamo da imparare dagli altri.

Il cammino attraverso le umiliazioni

Come si raggiunge l’umiltà? La risposta potrebbe non piacerti, ma è la verità della vita: attraverso le umiliazioni. Nella costante accettazione di queste esperienze - senza montare in superbia - e in un cammino di profonda sottomissione alla vita si diventa umili. Scritto così non è molto attraente, ma è la realtà del nostro percorso di crescita.

Viviamo in una vita in cui possiamo scegliere poco ma in cui siamo chiamati ad accettare tanto. Non scegli il corpo che abiti, il luogo di nascita, la tua famiglia, le esperienze o gli abusi che la vita ti ha messo davanti. Sottomissione alla vita vuol dire proprio questo: imparare a vedere tutto ciò che ci capita intorno come un’opportunità di crescita da accogliere.

D’altra parte, se l’umiliazione brucia, è anche l’unico strumento che abbiamo per diventare realmente umili e uomini capaci di dare la vita con gratuità. La vita ci presenta diverse occasioni per renderci conto che non ci siamo creati da soli e che non ci costruiamo da soli, e a volte lo fa proprio mettendoci decisamente in ginocchio.

Spunti pratici per coltivare l’umiltà

Non perdiamo queste occasioni per svuotarci di noi stessi e accogliere gli insegnamenti che le persone o le circostanze intorno a noi ci rivelano. La vita ci porta sicuramente e continuamente in queste situazioni, ma se vuoi mettere mano attivamente a questo aspetto, ecco qualche spunto concreto:

Trova un ambito di obbedienza: Cerca qualche area della tua vita dove metterti in piena obbedienza a qualcuno. Può essere un mentore professionale, una guida spirituale, o anche un corso dove devi seguire rigorosamente le indicazioni di un insegnante. L’importante è sperimentare cosa significa non essere tu a decidere tutto.

Accogli il pensiero diverso: Quando incontri un’opinione che contrasta con la tua, invece di cercare immediatamente di confutarla, fermati e chiediti: “Che valore aggiunto potrebbe dare questa prospettiva alla mia vita?” Anche dalle idee che ti sembrano sbagliate può emergere un elemento di verità che non avevi considerato.

Sporcati le mani: Trova lo spazio per impegnarti in attività scomode, che ti mettano fuori dalla tua zona di comfort. Può essere il volontariato con persone in difficoltà, un lavoro manuale che non hai mai fatto, o semplicemente aiutare qualcuno in una situazione che ti mette a disagio.

Circondati di guide: Cerca persone che possano accompagnarti e consigliarti nelle varie aree che coinvolgono la tua vita. Non persone che ti dicono quello che vuoi sentirti dire, ma persone che hanno l’autorità e la saggezza per metterti davanti ai tuoi limiti con amore e verità.

Pratica la sospensione del giudizio: Non elargire giudizi facilmente e sforzati di trattare gli altri come vorresti essere trattato. Prima di criticare qualcuno, fermati e chiediti se conosci davvero tutta la sua storia e le sue motivazioni.

Un cammino sempre aperto

Questi sono solo alcuni spunti, ma sono ottimi punti di partenza per incominciare a vivere una sana sottomissione alla vita. Ognuno di voi potrà poi aggiustare il tiro per continuare a camminare nell’arte dell’umiltà, adattando questi suggerimenti alla propria situazione specifica.

L’umiltà non è una meta da raggiungere una volta per tutte, ma un atteggiamento da coltivare quotidianamente. È un’arte che richiede pratica costante, pazienza con se stessi e la disponibilità a ricominciare ogni volta che ci accorgiamo di essere scivolati nell’orgoglio.

E ricorda… siamo sempre in cammino!

Manu

PS> Per approfondire il tema dell’orgoglio e della superbia e come venirne fuori, un ottimo testo è quello di Don Fabio Rosini - L’arte della buona battaglia


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